Chemioterapìa Oncològica
Definizione medica del termine Chemioterapìa Oncològica
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Definizione di Chemioterapìa Oncològica
Chemioterapìa Oncològica
Indice:Gli effetti collateraliApplicazioni della chemioterapia oncologicaTecniche particolari di somministrazioneEfficacia e limiti(o antitumorale), complesso delle terapie farmacologiche, e delle tecniche impiegate nella loro somministrazione, utilizzate nella cura dei tumori.
La terapia con farmaci antineoplastici ha lo scopo di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali nell’intero organismo, ma soprattutto a livello delle localizzazioni secondarie, cioè delle metastasi.
Gli effetti collateraliI farmaci antitumorali (o antiblastici) possono avere diversi punti d’attacco nella cellula: in genere si distinguono diverse classi di farmaci come gli antimetaboliti (5-fluoruracile), gli alchilanti (ciclofosfamide), antibiotici (adriamicina), sostanze varie (cisplatino), ma in ultima analisi il bersaglio dei farmaci è costituito dal DNA delle cellule tumorali.
I farmaci attualmente in uso non consentono però di esercitare un’azione specificamente diretta contro le cellule tumorali: colpiscono genericamente tutte le popolazioni cellulari in fase di attiva replicazione, quindi anche le cellule sane (seppure in misura minore rispetto a quelle neoplastiche) e nella fattispecie quelle di tessuti ad alto ritmo proliferativo, come il midollo osseo, la mucosa orale e gastrointestinale, il bulbo pilifero, l’ovaio e il testicolo.
La chemioterapìa oncològica sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà il rischio di effetti collaterali, rappresentati da: diminuzione dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine (prodotti dal midollo osseo); irritazioni della mucosa della bocca e del palato; nausea, vomito, diarrea (per l’effetto sull’apparato digerente); irregolarità mestruali; caduta dei capelli per l’azione sui bulbi piliferi.
Allo scopo di minimizzare per quanto è possibile questi inconvenienti, sono state messe a punto particolari strategie di somministrazione della terapia.
In primo luogo la chemioterapìa oncològica viene effettuata in modo intermittente, secondo schemi che prevedono cicli curativi della durata di alcuni giorni, alternati a intervalli di riposo fino a 3-4 settimane: in tal modo si consente alle popolazioni cellulari normali, inevitabilmente colpite dal trattamento, di riprendersi tra un ciclo e l’altro a scapito delle cellule tumorali, generalmente più lente a recuperare il danno subito.
Per ridurre ulteriormente gli effetti secondari della terapia si ricorre all’associazione di più farmaci antitumorali (polichemioterapia), aumentando l’azione globale grazie a differenti meccanismi d’azione, e diminuendo nel contempo la tossicità.Applicazioni della chemioterapia oncologicaCon schemi di questo tipo è possibile a tutt’oggi curare molti tumori, tra cui le leucemie dei bambini, i linfomi di Hodgkin e alcuni linfomi non-Hodgkin, il tumore renale di Wilms e i tumori del testicolo.
Risultati inferiori ma degni di nota sono raggiungibili nel carcinoma della mammella, in quello dell’ovaio e nel tumore polmonare a piccole cellule (microcitoma).
In alcuni casi la chemioterapìa oncològica viene utilizzata a scopo precauzionale (chemioterapìa oncològica adiuvante) dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore, allo scopo di eradicare eventuali metastasi microscopiche già disseminate all’atto dell’operazione.
Questo tipo di strategia ha fornito finora buoni risultati nel carcinoma della mammella, del testicolo e forse del colon-retto, quando le “spie” della diffusione a distanza, cioè i linfonodi regionali (ascellari nel caso della mammella, viscerali negli altri), risultano invasi dal tumore.
La chemioterapìa oncològica adiuvante viene utilizzata anche in molti tumori dell’infanzia (tumore renale di Wilms, sarcomi dei muscoli e delle ossa, medulloblastoma).
Negli ultimi anni è stato proposto di utilizzare la chemioterapìa oncològica addirittura prima della chirurgia; in questo caso la chemioterapìa oncològica, detta neoadiuvante, ha lo scopo di ridurre la massa tumorale al fine di renderla più facilmente asportabile con interventi chirurgici complessivamente meno mutilanti.
Oggi viene impiegata nella cura dell’osteosarcoma, di alcuni carcinomi della mammella, del cavo orale, dell’esofago, dell’ano e della vescica.Tecniche particolari di somministrazioneConsiderevole interesse riscuote la possibilità di far pervenire il farmaco direttamente nella regione anatomica colpita, potendo così aumentare il dosaggio a vantaggio dell’efficacia, ma con riduzione globale della tossicità su tutto l’organismo.
La cosiddetta chemioterapìa oncològica regionale intrarteriosa trova applicazione soprattutto nel trattamento delle metastasi epatiche (perlopiù da tumori del colon-retto) e dei carcinomi della testa e del collo, data la possibilità d’incannulare con relativa facilità le arterie tributarie di questi distretti (cioè l’arteria epatica e la carotide esterna).
La somministrazione di farmaci nel cavo pleurico, pericardico, ma soprattutto in quello peritoneale permette di aggredire le localizzazioni neoplastiche direttamente in queste sedi.
La chemioterapìa oncològica intracavitaria è stata utilizzata particolarmente nella terapia della carcinosi peritoneale, conseguente alla diffusione di tumori ovarici o carcinomi del colon-retto.Efficacia e limitiNell’insieme, la fattibilità e il successo della chemioterapìa oncològica sono legati a fattori dipendenti sia dal paziente (l’età, le condizioni generali di salute, cioè il cosiddetto performance status), sia dal tumore (caratteristiche biologiche del grado di risposta alla chemioterapìa oncològica, estensione della massa tumorale totale): soprattutto in quest’ultimo caso assume notevole importanza il fenomeno della resistenza ai farmaci antitumorali, evento che purtroppo si verifica quasi costantemente durante lo svolgimento della chemioterapìa oncològica.
Per mutazioni spontanee, all’interno della popolazione di cellule tumorali (analogamente a quanto avviene coi batteri) si sviluppano cloni (cioè cellule derivate dalla divisione di un’unica cellula, e tutte dotate dello stesso patrimonio genetico della cellula madre) in grado di resistere ai farmaci antitumorali grazie a meccanismi biochimici di varia natura.
Il vantaggio selettivo acquisito favorisce la proliferazione del clone resistente, che ben presto s’impone su tutta la popolazione rendendola insensibile alla terapia: la neoplasia può così inarrestabilmente progredire.
In alcuni casi le cellule neoplastiche sono addirittura in grado di sintetizzare una proteina della membrana cellulare che le rende resistenti a più farmaci contemporaneamente.
Finora non sono state individuate sostanze capaci di bloccare l’insorgenza del fenomeno.
La strategia terapeutica più valida consiste nella somministrazione della chemioterapìa oncològica il più precocemente possibile (quando la massa tumorale sia tanto piccola da non ospitare troppe cellule già resistenti) e rispettando il più possibile tempi e schemi di somministrazione (la cosiddetta intensità di dose) in modo da non disperdere l’efficacia terapeutica.
La terapia con farmaci antineoplastici ha lo scopo di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali nell’intero organismo, ma soprattutto a livello delle localizzazioni secondarie, cioè delle metastasi.
Gli effetti collateraliI farmaci antitumorali (o antiblastici) possono avere diversi punti d’attacco nella cellula: in genere si distinguono diverse classi di farmaci come gli antimetaboliti (5-fluoruracile), gli alchilanti (ciclofosfamide), antibiotici (adriamicina), sostanze varie (cisplatino), ma in ultima analisi il bersaglio dei farmaci è costituito dal DNA delle cellule tumorali.
I farmaci attualmente in uso non consentono però di esercitare un’azione specificamente diretta contro le cellule tumorali: colpiscono genericamente tutte le popolazioni cellulari in fase di attiva replicazione, quindi anche le cellule sane (seppure in misura minore rispetto a quelle neoplastiche) e nella fattispecie quelle di tessuti ad alto ritmo proliferativo, come il midollo osseo, la mucosa orale e gastrointestinale, il bulbo pilifero, l’ovaio e il testicolo.
La chemioterapìa oncològica sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà il rischio di effetti collaterali, rappresentati da: diminuzione dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine (prodotti dal midollo osseo); irritazioni della mucosa della bocca e del palato; nausea, vomito, diarrea (per l’effetto sull’apparato digerente); irregolarità mestruali; caduta dei capelli per l’azione sui bulbi piliferi.
Allo scopo di minimizzare per quanto è possibile questi inconvenienti, sono state messe a punto particolari strategie di somministrazione della terapia.
In primo luogo la chemioterapìa oncològica viene effettuata in modo intermittente, secondo schemi che prevedono cicli curativi della durata di alcuni giorni, alternati a intervalli di riposo fino a 3-4 settimane: in tal modo si consente alle popolazioni cellulari normali, inevitabilmente colpite dal trattamento, di riprendersi tra un ciclo e l’altro a scapito delle cellule tumorali, generalmente più lente a recuperare il danno subito.
Per ridurre ulteriormente gli effetti secondari della terapia si ricorre all’associazione di più farmaci antitumorali (polichemioterapia), aumentando l’azione globale grazie a differenti meccanismi d’azione, e diminuendo nel contempo la tossicità.Applicazioni della chemioterapia oncologicaCon schemi di questo tipo è possibile a tutt’oggi curare molti tumori, tra cui le leucemie dei bambini, i linfomi di Hodgkin e alcuni linfomi non-Hodgkin, il tumore renale di Wilms e i tumori del testicolo.
Risultati inferiori ma degni di nota sono raggiungibili nel carcinoma della mammella, in quello dell’ovaio e nel tumore polmonare a piccole cellule (microcitoma).
In alcuni casi la chemioterapìa oncològica viene utilizzata a scopo precauzionale (chemioterapìa oncològica adiuvante) dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore, allo scopo di eradicare eventuali metastasi microscopiche già disseminate all’atto dell’operazione.
Questo tipo di strategia ha fornito finora buoni risultati nel carcinoma della mammella, del testicolo e forse del colon-retto, quando le “spie” della diffusione a distanza, cioè i linfonodi regionali (ascellari nel caso della mammella, viscerali negli altri), risultano invasi dal tumore.
La chemioterapìa oncològica adiuvante viene utilizzata anche in molti tumori dell’infanzia (tumore renale di Wilms, sarcomi dei muscoli e delle ossa, medulloblastoma).
Negli ultimi anni è stato proposto di utilizzare la chemioterapìa oncològica addirittura prima della chirurgia; in questo caso la chemioterapìa oncològica, detta neoadiuvante, ha lo scopo di ridurre la massa tumorale al fine di renderla più facilmente asportabile con interventi chirurgici complessivamente meno mutilanti.
Oggi viene impiegata nella cura dell’osteosarcoma, di alcuni carcinomi della mammella, del cavo orale, dell’esofago, dell’ano e della vescica.Tecniche particolari di somministrazioneConsiderevole interesse riscuote la possibilità di far pervenire il farmaco direttamente nella regione anatomica colpita, potendo così aumentare il dosaggio a vantaggio dell’efficacia, ma con riduzione globale della tossicità su tutto l’organismo.
La cosiddetta chemioterapìa oncològica regionale intrarteriosa trova applicazione soprattutto nel trattamento delle metastasi epatiche (perlopiù da tumori del colon-retto) e dei carcinomi della testa e del collo, data la possibilità d’incannulare con relativa facilità le arterie tributarie di questi distretti (cioè l’arteria epatica e la carotide esterna).
La somministrazione di farmaci nel cavo pleurico, pericardico, ma soprattutto in quello peritoneale permette di aggredire le localizzazioni neoplastiche direttamente in queste sedi.
La chemioterapìa oncològica intracavitaria è stata utilizzata particolarmente nella terapia della carcinosi peritoneale, conseguente alla diffusione di tumori ovarici o carcinomi del colon-retto.Efficacia e limitiNell’insieme, la fattibilità e il successo della chemioterapìa oncològica sono legati a fattori dipendenti sia dal paziente (l’età, le condizioni generali di salute, cioè il cosiddetto performance status), sia dal tumore (caratteristiche biologiche del grado di risposta alla chemioterapìa oncològica, estensione della massa tumorale totale): soprattutto in quest’ultimo caso assume notevole importanza il fenomeno della resistenza ai farmaci antitumorali, evento che purtroppo si verifica quasi costantemente durante lo svolgimento della chemioterapìa oncològica.
Per mutazioni spontanee, all’interno della popolazione di cellule tumorali (analogamente a quanto avviene coi batteri) si sviluppano cloni (cioè cellule derivate dalla divisione di un’unica cellula, e tutte dotate dello stesso patrimonio genetico della cellula madre) in grado di resistere ai farmaci antitumorali grazie a meccanismi biochimici di varia natura.
Il vantaggio selettivo acquisito favorisce la proliferazione del clone resistente, che ben presto s’impone su tutta la popolazione rendendola insensibile alla terapia: la neoplasia può così inarrestabilmente progredire.
In alcuni casi le cellule neoplastiche sono addirittura in grado di sintetizzare una proteina della membrana cellulare che le rende resistenti a più farmaci contemporaneamente.
Finora non sono state individuate sostanze capaci di bloccare l’insorgenza del fenomeno.
La strategia terapeutica più valida consiste nella somministrazione della chemioterapìa oncològica il più precocemente possibile (quando la massa tumorale sia tanto piccola da non ospitare troppe cellule già resistenti) e rispettando il più possibile tempi e schemi di somministrazione (la cosiddetta intensità di dose) in modo da non disperdere l’efficacia terapeutica.
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